Archivio degli autori Fabrizio

6 Dicembre 2024

Studio: fake news e cospirazioni, ecco perché ci cascano i creduloni

– Le fake news e le teorie complottistiche che sono esplose con l’emergenza Covid – ma erano già presenti rispetto ai vaccini – hanno terreno fertile se le persone sono più ingenue e credulone “perché queste hanno più difficoltà nel discriminare tra notizie false e vere, e hanno maggiori probabilità di percepire le news false come vere e di prendere per buone le bufale sul Covid”. Lo ha stabilito un lavoro dell’University College London, diviso in due studi e pubblicato su ‘Plos’. L’obiettivo era quello di analizzare “i processi socio-cognitivi associati a due delle questioni più urgenti della salute pubblica globale nell’era digitale contemporanea: l’allarmante diffusione di notizie false e il crollo della fiducia collettiva nelle fonti di informazione”, individuando “i possibili meccanismi psicologici che operano nel modellare le risposte degli persone alle informazioni che circolano”.

I ricercatori hanno esaminato come la fiducia epistemica – quella che viene sviluppata da bambini quando si costruisce la capacità di identificare l’altro nella sua individualità, si apprende a dare senso al comportamento degli altri e ad attribuirgli intenzioni – possa essere ‘alterata’ in alcune persone più ‘sensibili’ a credere alle bufale. Gli scienziati hanno quindi condotto due studi per “analizzare il ruolo della fiducia epistemica nel determinare la capacità di riconoscere le notizie false da quelle vere e la suscettibilità al pensiero cospirativo”. Per farlo, i ricercatori hanno intervistato 705 persone, di cui 502 adulti, residenti nel Regno Unito. I risultati hanno rivelato che “gli individui con un’elevata credulità erano più in difficoltà nel discriminare tra notizie false e vere e avevano maggiori probabilità di percepire le news false come vere e di prendere per buone bufale sul Covid”.

Inoltre, i risultati hanno mostrato come la sfiducia nell’informazione ufficiale e l’essere dei creduloni si associano a “teorie assurde o complottistiche su diverse materie, ma in generale in relazione al Covid e all’esitazione nei confronti dei vaccini”. Sulle cause gli autori non hanno dei ‘bersagli’ specifici, ma ritengono “che servano degli interventi per invertire il tasso di sfiducia e di ingenuità delle persone”.

5 Dicembre 2024

In Italia il 47% fa sport una volta a settimana ma troppi snack

5 dicembre 2024 – Il 47% degli italiani pratica sport almeno una volta ogni 7 giorni, con una media di 3-4 volte a settimana e tempi in linea con le raccomandazioni. Queste le evidenze che emergono dal rapporto ‘Cibo e sport: buona alimentazione e attività fisica, un connubio perfetto per la salute’, presentato ieri in Senato dalla Fondazione Aletheia. Lievi le differenze tra genere e età nell’attività sportiva: 68 minuti a sessione per gli uomini, 60 per le donne, con i 18-24enni che arrivano a 69. Camminata veloce la più diffusa (36%), seguita da ginnastica generica (23%) e fitness, incluso spinning e palestra (20%), ciclismo (14%), nuoto (9%).   Preoccupante il trend crescente di giovani che passano tempo davanti a device elettronici, con forte incremento tra i 6-10 anni dell’utilizzo quotidiano del cellulare: dal 10% nel 2013 al 33% nel 2023. Diverse invece le scelte alimentari. Più snack, piatti pronti e bevande energetiche (fino a 2,5 volte a settimana) per i giovani, mentre per gli over65 fino a 6 volte in meno. Il 43% degli intervistati ha usato integratori vitaminici negli ultimi 6 mesi, dato fortemente sbilanciato sui giovani. L’80% degli anziani predilige integratori naturali rispetto a quelli sintetici (5%), che per i giovani sono invece il 23%. “Il 40% dei tumori potrebbe essere evitato con corretta alimentazione e attività fisica regolare”, ricorda Riccardo Fargione, direttore della Fondazione. “Tra le cause delle malattie dismetaboliche vi sono soprattutto i cibi ultraprocessati”, continua il direttore, cui fa eco Antonio Gasbarrini, Università Cattolica, direttore Cs Aletheia: “Questo tipo di alimentazione, per cui non siamo strutturati, rimodula il microbiota, che si infiamma e trasforma il nostro corpo. Oggi la maggioranza dei nostri anziani soffre di più patologie insieme, o cambiamo modello alimentare o avremo persone quasi tutte malate”.

4 Dicembre 2024

Rapporto OASI: “A SSN servono 40 miliardi per raggiungere i livelli UE”

4 dicembre 2024 – Il Servizio sanitario nazionale “è da decenni tra i meno finanziati in Europa, per una cifra oggi pari al 6,3% del Pil pur essendo il secondo Paese più anziano al mondo. Per portare la sanità pubblica italiana ai livelli dei grandi Paesi europei servirebbero almeno 40 miliardi, vale a dire metà dell’attuale spesa annua per l’istruzione. Una cifra enorme, in uno scenario caratterizzato da una situazione demografica critica che implica un’elevata spesa pensionistica e minore popolazione in età da lavoro”. Lo evidenzia il Rapporto Oasi 2024 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano) pubblicato dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) di Sda Bocconi School of Management. Il rapporto, giunto alla sua 25esima edizione e diventato il punto di riferimento per l’analisi dei cambiamenti in corso nel Ssn e nella sanità italiana, offre una fotografia dello stato di salute del sistema e propone misure utili alla risoluzione delle principali criticità identificate.

L’analisi, elaborata dal gruppo di ricerca coordinato dai professori Francesco Longo, dell’Università Bocconi, e da Alberto Ricci di Sda Bocconi, identifica le criticità principali del Ssn che, pur proponendosi come servizio sanitario universalistico, risulta incapace di fare fronte ai bisogni crescenti dei cittadini, in particolare della popolazione cronica (pari al 41% dei residenti) e della popolazione anziana non autosufficiente (4 milioni di persone). “Se Francia, Germania e Regno Unito finanziano i rispettivi sistemi sanitari nazionali intorno al 9-11% sul Pil, l’Italia si è mantenuta costante nel tempo intorno al 6,3% sul Pil, cifra che si prevede resterà sostanzialmente invariata nel 2025 e 2026. Contrariamente – si legge nel report – a quanto si possa pensare, anche la spesa sanitaria privata cresce meno del Pil, e si attesta al 2,2% nel 2024 – circa il 26% della spesa sanitaria complessiva. Il dato, in sostanziale continuità con gli anni precedenti al Covid-19 – è chiaro: l’Italia non è disponibile a spendere per la salute, né pubblicamente, né privatamente”.

Il Rapporto approfondisce le cause delle liste d’attesa. “Attualmente, la mancanza di criteri di priorità di accesso ai differenti servizi e le logiche prescrittive spesso lontane dalle linee guida cliniche aggravano il problema della scarsità di risorse. Per l’accesso ai servizi non si tiene conto di criteri di prioritizzazione quali, ad esempio, aree di patologia, cluster di popolazione per reddito o livello di istruzione, portafogli di tecnologie da includere nel contenuto dei servizi garantiti dal Ssn. Questo è un meccanismo molto importante – avverte il report – ma quasi mai esplicitato, che ha portato il Ssn a prescrivere molte più prestazioni rispetto alla sua effettiva capacità erogativa. Nei territori dove sono maggiori le prescrizioni, spesso sono elevati anche i consumi per abitante, ma cresce anche la distanza tra prescritto ed erogato, con conseguente incidenza sull’allungamento delle liste d’attesa”.

4 Dicembre 2024

Tumore della vescica: “Scoperto un nuovo meccanismo molecolare”

NUMB è la proteina che costituisce un biomarcatore nell’evoluzione del tumore alla vescica: la scoperta del meccanismo molecolare apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale. Lo studio, condotto dal team di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università degli Studi di Milano e pubblicato su Nature Communications, dimostra inoltre che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, contrariamente a quanto ritenuto fino ad ora.

Milano, 4 dicembre 2024. Una nuova speranza per la diagnosi e la cura dei tumori della vescica più aggressivi nasce dalle ricerche di un gruppo di scienziati dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università degli Studi di Milano. Lo studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è stato coordinato da Salvatore Pece, professore ordinario di Patologia generale e vice-direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale di Milano, Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO.

I risultati hanno condotto i ricercatori a scoprire un inedito meccanismo molecolare, alla base dell’aggressività biologica e clinica dei tumori della vescica, che determina le prognosi più sfavorevoli. I dati sono appena stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

All’origine dell’intero processo sembra esserci la proteina NUMB, che è normalmente espressa nella vescica normale, ma viene perduta in oltre il 40% di tutti i tumori vescicali umani. Tale perdita causa una cascata di eventi molecolari che rendono il tumore altamente proliferativo e invasivo, consentendogli di oltrepassare gli strati superficiali della mucosa vescicale per raggiungere gli strati più profondi. Tale evento rappresenta il punto di svolta nella evoluzione clinica della malattia, determinando la progressione dei tumori vescicali superficiali, i cosiddetti non-muscolo-invasivi, verso tumori profondi, definiti muscolo-invasivi, che richiedono l’intervento di rimozione chirurgica totale della vescica. Nonostante l’operazione radicale, queste forme di malattia sono caratterizzate da un decorso clinico spesso sfavorevole.

Dunque la proteina NUMB – spiega il professor Pece – funziona come un interruttore molecolare. che, se è spento, accelera la progressione tumorale e influenza il decorso clinico della malattia. Rappresenta quindi un biomarcatore molecolare che consente di identificare i tumori superficiali a elevato rischio di progressione verso tumori muscolo-invasivi”.

La nostra scoperta ha un forte e immediato potenziale di applicazione nella pratica clinica – continua Salvatore Pece –. I criteri clinico-patologici utilizzati nella routine per predire il rischio di progressione dei tumori vescicali superficiali a tumori muscolo-invasivi sono infatti del tutto insufficienti e inadeguati a individuare i pazienti a basso rischio, che potrebbero beneficiare di trattamenti più mirati, di tipo conservativo, in protocolli di sorveglianza attiva. I pazienti ad alto rischio necessitano invece di trattamenti più aggressivi, quali la chemioterapia e l’asportazione chirurgica della vescica, che hanno purtroppo considerevoli effetti collaterali e un elevato impatto sulla qualità della vita”.

Abbiamo analizzato il profilo molecolare sia in cellule in coltura e animali di laboratorio, sia in campioni di tumori umani privi dell’espressione di NUMB – spiega il dottor Francesco Tuccidottorando di ricerca presso la Scuola Europea di Medicina Molecolare e primo autore dello studio –. Abbiamo così osservato che la perdita di NUMB attiva un complesso circuito molecolare che conduce all’attivazione di un potente oncogene, il fattore di trascrizione YAP. Quest’ultimo è alla base del potere proliferativo e invasivo delle cellule tumorali”.

Siamo andati oltre – aggiunge la dottoressa Daniela Tosoni, ricercatrice presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università di Milano e dello IEO, che ha contribuito alla supervisione dello studio –. In esperimenti di laboratorio abbiamo dimostrato che è possibile inibire la capacità proliferativa e invasiva delle cellule tumorali prive di NUMB, utilizzando farmaci in grado di colpire questo complesso circuito molecolare a diversi livelli”. “I tumori della vescica privi di NUMB – continua Daniela Tosoni – sono quindi molto aggressivi ma anche altamente vulnerabili”. Sono infatti già disponibili alcuni farmaci molecolari impiegati in clinica per patologie differenti dal tumore vescicale, che potrebbero rapidamente essere sperimentati e adottati come trattamenti innovativi per prevenire la progressione clinica dei tumori vescicali superficiali ad alto rischio, privi della proteina NUMB.

Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 29.700 nuovi casi di tumore della vescia (il quinto più frequente dopo quelli della mammella, colon-retto, polmone e prostata).

Al momento della diagnosi iniziale – spiega Salvatore Pece – i tumori della vescica si presentano in larga maggioranza come tumori superficiali non muscolo-invasivi, che sono generalmente caratterizzati da una buona prognosi. Solo in una percentuale ridotta si presentano invece sin dal principio come tumori profondi muscolo-invasivi, molto aggressivi e con decorso clinico meno favorevole. Per questo necessitano di chemioterapia e di intervento di cistectomia radicale. Questo ha fatto storicamente considerare i tumori superficiali e quelli profondi come due patologie differenti sin dal principio, guidate da differenti meccanismi molecolari. Tuttavia circa il 20-30% dei tumori superficiali possono evolvere in tumori muscolo-invasivi. L’esperienza clinica ci ha insegnato che i tumori muscolo-invasivi che derivano dalla progressione di tumori inizialmente superficiali rappresentano le forme più aggressive e potenzialmente letali di tumore vescicale”.

I nostri studi – continua Pece – dimostrano invece che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, guidato già dal principio da specifici meccanismi molecolari che possono essere ostacolati con farmaci precisi e mirati. Diventa quindi fondamentale identificare i meccanismi biologici alla base di questa evoluzione e sviluppare nuovi marcatori molecolari per identificare i pazienti con caratteristiche specifiche di aggressività. In questo contesto, la nostra scoperta apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale in una elevata percentuale di pazienti che presentano tumori privi di espressione della proteina NUMB”.

Abbiamo anche identificato – continua Salvatore Pece – una nuova firma molecolare che consentirà di identificare con accurata precisione i pazienti che potranno beneficiare di trattamenti mirati con nuovi farmaci che colpiscono in maniera specifica i meccanismi molecolari che sono attivati a seguito della perdita di NUMB”.

Questo studio sostenuto da AIRC rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – continua il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche per i risultati clinici. Rappresenta infatti uno di quei rari momenti della ricerca scientifica in cui, dopo molti anni di studio, è possibile effettuare il passaggio dalla ricerca di base all’applicazione in ambito clinico. Abbiamo ora a disposizione una nuova firma molecolare per misurare il rischio di progressione di malattia e al tempo stesso nuovi possibili bersagli di terapie più precise e mirate tramite l’uso di farmaci già disponibili nella pratica clinica”.

Questa ricerca è una ulteriore conferma della qualità dei nostri ricercatori – sottolinea il Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia della Statale, Gianluca Vago – e dei risultati che otteniamo grazie alla stretta collaborazione, ormai ventennale, con l’Istituto Europeo di Oncologia e il sostegno, altrettanto fondamentale, di AIRC. Milano ha un potenziale unico per la ricerca nelle scienze della vita; fare rete è ancora più importante ora, come condizione necessaria per competere con le migliori realtà europee ed internazionali”.

Lo studio, che ha visto impegnati in uno sforzo comune scienziati e clinici del nostro istituto, – conclude il professor Roberto Orecchia, Direttore dello IEO di Milano – è un risultato straordinario e una ottima notizia per molti pazienti per i quali abbiamo oggi una nuova possibilità di cura. Abbiamo già brevettato la nuova firma molecolare emersa da queste ricerche e stiamo per avviare studi clinici per validarne l’utilizzo come marcatore, per identificare i pazienti ad alto rischio di progressione di malattia che potranno beneficiare nel prossimo futuro di una nuova prospettiva terapeutica con farmaci più precisi e mirati”.

3 Dicembre 2024

Fumo passivo, in Italia è bandito in oltre 7 case su 10

3 dicembre 2024 – L’Italia è al quarto posto in Europa per numero di abitazioni in cui non è permesso accendersi una sigaretta: quelle libere da fumo passivo sono il 75,8% del totale. Lo rivela un’indagine europea coordinata dall’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e pubblicata sulla rivista Erj Open Research. L’indagine (che ha coinvolto quasi 12mila persone di 12 Paesi nel periodo 2017-2018) pone sul podio dei più virtuosi il Regno Unito (con l’84,5% di case smoke-free), l’Irlanda (79,4%) e la Lettonia (78,9%). In fondo alla classifica ci sono invece Bulgaria (56,6%), Romania (55,2%) e Grecia (44,4%).

Complessivamente, le abitazioni libere da fumo stanno aumentando in Europa con un incremento di circa l’1% all’anno. Risulta inoltre che le donne, gli anziani, le persone con un livello di istruzione più alto e quelle che vivono con bambini sono più propense a vietare il fumo nelle loro case. Circa il 70% delle persone intervistate non consente di fumare in nessuna parte della propria abitazione. Un ulteriore 18% ha dichiarato di applicare alcune regole, ma di non rendere la propria casa completamente libera da fumo. A sorpresa, circa il 13% delle case in cui non vivono fumatori consente comunque ai visitatori di fumare. In Italia il 75,8% di case ha una restrizione totale del fumo, mentre il 13,4% di case ha una restrizione parziale e il restante 10,8% non ha alcuna restrizione. “L’Italia, grazie alla Legge Sirchia del 2005, è stata il primo Paese europeo, con l’Irlanda, a vietare il fumo al chiuso negli ambienti pubblici e nei luoghi di lavoro. Nonostante ciò, gli ambienti privati, in particolare le abitazioni, rimangono luoghi comuni per il fumo e l’esposizione al fumo passivo”, commenta Silvano Gallus, responsabile del Laboratorio di Ricerca sugli Stili di Vita dell’Istituto Mario Negri. “C’è da sottolineare che, se ripetessimo oggi lo studio, otterremmo un risultato meno favorevole per l’Italia rispetto agli altri Paesi, dal momento che molti governi europei hanno recentemente adottato efficaci strategie di controllo del tabagismo come l’aumento delle accise sui prodotti di tabacco o il rimborso sui trattamenti per la cessazione del fumo. Questo in Italia continua a mancare.”

2 Dicembre 2024

Tumore del collo dell’utero, negli USA morti crollate grazie a vaccini

2 dicembre 2024 – Negli Stati Uniti, i decessi per tumore del collo dell’utero nelle giovani donne si sono ridotti di tre quarti in meno di 30 anni grazie soprattutto all’introduzione della vaccinazione anti Hpv. Erano 55 nel triennio 1992-1994, sono diventate 13 tra il 2019-2021. È il dato che emerge da uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association. Il tumore della cervice uterina – o collo dell’utero – ha origine da lesioni causate da infezioni da Papillomavirus umano (Hpv), un virus molto diffuso che si trasmette prevalentemente per via sessuale. La vaccinazione Hpv, prevenendo l’infezione, ferma sul nascere il processo che porta al tumore.

Negli Stati Uniti, la vaccinazione contro l’Hpv è raccomandata dal 2006 e già in quegli anni si stava osservando una flessione dei tumori del collo dell’utero nelle donne con meno 25 anni, spiegano i ricercatori coordinati dalla Medical University of South Carolina di Charleston. L’avvento del vaccino ha però accelerato il calo. A partire dal 2016, i tassi di decessi per questo tumore nelle donne under-25 hanno cominciato a scendere a una velocità doppia rispetto al periodo precedente; di pari passo nel 2021 si sono dimezzati i decessi (13 quelli registrati rispetto ai 26 attesi). “Questo studio ha rilevato un forte calo della mortalità per cancro cervicale tra le donne statunitensi di età inferiore ai 25 anni tra il 2016 e il 2021. Questa coorte di donne è la prima ad essere ampiamente protetta contro il cancro cervicale dai vaccini contro l’Hpv”, scrivono i ricercatori. Il timore è che ora questi risultati vengano vanificati dal calo delle coperture vaccinali. “Dall’inizio della pandemia di Covid-19, la copertura vaccinale contro l’Hpv non è migliorata e, anzi, si è verificato un preoccupante calo (dal 79,3% nel 2022 al 75,9% nel 2023). I risultati di questo studio evidenziano l’urgenza di migliorare la copertura vaccinale contro l’Hpv”.

29 Novembre 2024

Tumore del polmone, un paziente su 2 e’ curato in centri non adeguati

29, novembre 2024 – In Italia tutti i casi di tumore polmonare dovrebbero essere trattati solo nell’ambito di Gruppi Oncopneumologici Multidisciplinari funzionali (GOM) o, meglio ancora, strutturali (Lung Unit). Al momento però circa il 50% dei pazienti viene gestito in centri sanitari che mancano della necessaria expertise e per quanto riguarda la profilazione biomolecolare e, a volte, anche per la gestione delle tossicità dei farmaci di ultima generazione. E’ questo l’allarme lanciato dalla Fondazione FONICAP (Forza Operativa Nazionale Interdisciplinare contro il Cancro del Polmone) e dalla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) in occasione del loro 3° Congresso Nazionale. L’evento si chiude oggi a Roma e ha visto nove diverse sessioni scientifiche dedicate alle neoplasie toraco-polmonari. “Ogni singolo paziente deve essere preso in carico solo da team oncopneumologici esperti, con adeguati volumi di attività – sottolinea il prof. Antonio Santo, Presidente FONICAP -. Professionisti sanitari con competenze diverse dovrebbero lavorare insieme nello stesso team come già avviene per il carcinoma mammario. Come le Breast Unit sono una realtà consolidata nell’oncologia italiana anche le Lung Unit devono diventarlo quanto prima. Esistono già alcune di queste strutture sanitarie attive nel nostro Paese e stanno producendo risultati molto interessanti per medici e malati”. “I nuovi casi ammontano ad oltre 44mila all’anno e nei prossimi decenni il numero assoluto di diagnosi è destinato ad aumentare – aggiunge il prof. Francesco Schittulli, Presidente della LILT e Vice-Presidente della Fondazione FONICAP -. Il tumore polmonare è strettamente legato al fumo di sigaretta, da solo responsabile dell’85-90% dei casi. E’ una patologia molto complessa ed eterogenea da un punto di vista biologico. Infatti è stata una delle prime neoplasie gestite con la “medicina di precisione” per ottenere una diagnosi quanto più precisa possibile e di conseguenza una selezione delle terapie per ottimizzare i risultati. Tuttavia bisogna ribadire che a tutt’oggi l’arma più efficace resta la prevenzione primaria (lotta al Tabagismo) e la prevenzione secondaria (diagnosi precoce per terapie ottimali presso centri esperti). Infatti le diverse neoplasie polmonari presentano ancora insoddisfacenti tassi di sopravvivenza a cinque anni. Stiamo tuttavia registrando graduali miglioramenti negli ultimi anni grazie alle target therapy e l’immunoterapia e attualmente la sopravvivenza a 5 anni si attesta al 16% per gli uomini e al 23% per le donne”. “Il cancro del polmone ad oggi è uno dei principali problemi socio-sanitari del nostro Paese – prosegue la prof.ssa Rossana Berardi, Presidente del network GIOT (Gruppi Interdisciplinari Oncologia Toracica) di FONICAP -. Attualmente più di 120mila pazienti convivono con tale diagnosi e ciò comporta un forte impatto anche da un punto di vista economico. L’evoluzione dei trattamenti ha portato negli ultimi 10-15 anni all’introduzione, nella pratica clinica, delle terapie biologiche e dell’immunoterapia. Sono delle cure che possono determinare benefici ad un numero crescente di pazienti, cui deve essere assicurato un accesso equo e sostenibile. Presentano però alti costi per l’intero sistema sanitario nazionale e pertanto, devono essere gestite in modo appropriato da oncopneumologi esperti”.

“La nostra Fondazione è nata nel 2018 e prima era operativa come Associazione FONICAP dal 1981 – conclude il prof. Santo -. Da molti anni siamo impegnati per promuovere in Italia un nuovo modello di approccio alla cura del carcinoma polmonare. Come per altre malattie oncologiche bisogna sempre più prevedere l’azione congiunta di tutti gli attori coinvolti nel processo completo di assistenza. Pneumologi, radiologi, patologi, chirurghi, radioterapisti ed oncologi devono lavorare insieme in modo da favorire lo scambio di esperienze ed informazioni tra operatori, medici e paziente. Le “Lung Unit” strutturali rappresentano la naturale evoluzione dei gruppi multidisciplinari e di recente ne è stata aperta una presso l’Ospedale P. Pederzoli di Peschiera del Garda. Il nostro auspicio è che possa rappresentare un modello organizzativo riproponibile a breve, in tutte le Regioni d’Italia”.

27 Novembre 2024

Aiom e Ficog: “i bandi Aifa segnale importante per la ricerca indipendente”

“Esprimiamo soddisfazione per l’assegnazione dei 3 bandi AIFA per la ricerca indipendente. Si tratta di un passo avanti molto importante per sostenere gli studi no profit in oncologia. Il potenziale della ricerca oncologica in Italia è significativo e le nostre sperimentazioni sono all’avanguardia, ma servono più finanziamenti pubblici. Vi sono, inoltre, forti criticità nella disponibilità di personale e di una solida infrastruttura digitale. Oggi, in Italia, solo il 15% degli studi è no profit. Questi elementi impongono un cambio di passo e l’impegno dell’Agenzia Italiana del Farmaco sta andando nella direzione giusta. I 3 bandi, infatti, riguardano studi di sequenza terapeutica, che possono ottimizzare l’efficacia delle opzioni terapeutiche disponibili nell’intero percorso di cura del paziente”. È il commento di Francesco Perrone, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), alla pubblicazione dei vincitori dei 3 bandi AIFA sulla ricerca indipendente nel tumore del polmone non a piccole cellule (Dipartimento di Oncologia, Università di Torino), nel carcinoma renale (Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano) e nell’epatocarcinoma (ASL Napoli 1 Centro, Napoli). Il finanziamento complessivamente previsto è pari a 7 milioni e 500mila euro (due milioni e cinquecentomila euro per ogni bando).

In un anno (2021-2022), nel nostro Paese, gli studi clinici non sponsorizzati dall’industria farmaceutica sono passati dal 22,6% al 15% del totale. “Una diminuzione di oltre il 7% solo in 12 mesi, segno di un impoverimento del sistema della ricerca no profit in Italia. Questo, per l’oncologia, rappresenta un problema molto rilevante – sottolinea Evaristo Maiello, Presidente della Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (FICOG) -. È molto importante che siano promossi anche altri bandi AIFA per la ricerca indipendente che, se supportata, può realizzare la triplice missione di migliorare la pratica clinica, aumentare il livello di conoscenza sui nuovi farmaci e fungere da supporto alle politiche di rimborsabilità”.

25 Novembre 2024

Influenza: in 7 giorni oltre 400mila nuovi casi

Nell’ultima settimana monitorata, dall’11 al 17 novembre, i casi stimati di sindrome simil-influenzale, rapportati all’intera popolazione italiana, sono stati circa 418.000, per un totale di circa 1.792.000 casi a partire dall’inizio del monitoraggio che potrebbero avere gia’ raggiunto in questi giorni i due milioni di casi. Lo afferma l’ultimo bollettino della sorveglianza RespiVirNet, appena pubblicato, secondo cui l’incidenza delle sindromi simil-influenzali (ILI) è in lieve aumento rispetto alla settimana precedente con un livello pari a 7,1 casi per mille assistiti (6,5 nella settimana precedente) e minore di quello osservato nella scorsa stagione (8,2 nella settimana 2023-4). Maggiormente colpiti i bambini sotto i cinque anni di età con un’incidenza pari a 15,9 casi per mille assistiti (13,7 nella settimana precedente).

In metà delle Regioni/PPAA italiane il livello dell’incidenza è sopra la soglia basale. Durante la prima settimana di sorveglianza virologica per la stagione 2024/2025, si registra una limitata circolazione dei virus influenzali. Su 1.038 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete RespiVirNet, 17 (1,6%) sono risultati positivi al virus influenzale, 14 di tipo A e 3 di tipo B. Tra i campioni analizzati, 29 (2,8%) sono risultati positivi per SARS-CoV-2, 15 (1,4%) per RSV e i rimanenti 273 sono risultati positivi per altri virus respiratori, di cui: 185 (17,8%) Rhinovirus, 37 Adenovirus, 25 virus Parainfluenzali, 20 Coronavirus umani diversi da SARS- CoV-2, 3 Metapneumovirus e 3 Bocavirus.