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13 Settembre 2024

TUMORI, IN ITALIA SERVONO 14 MESI PER ACCEDERE AI FARMACI INNOVATIVI

È pari a un anno e mezzo (559 giorni, circa 18 mesi) il tempo medio in Europa (nel 2023) per disporre dei nuovi farmaci anticancro, tempi che si sono allungati di oltre un mese rispetto al 2022, quando erano pari a 526 giorni. L’Italia è più rapida rispetto alla media europea, però i pazienti oncologici del nostro Paese devono aspettare ancora 417 giorni, cioè quasi 14 mesi, per accedere ai trattamenti anticancro innovativi. Basta pensare che in Germania, che si colloca al primo posto in questa classifica, sono sufficienti 3 mesi (93 giorni). Da qui la necessità di nuovi modelli per consentire l’immediata disponibilità delle terapie salvavita, partendo dall’abolizione dei Prontuari Terapeutici Regionali (PTR), ancora presenti in 12 Regioni (Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia). La richiesta viene dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), nella conferenza stampa ufficiale della società scientifica al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che si apre oggi a Barcellona.

“I farmaci autorizzati da EMA, l’agenzia regolatoria europea, vengono commercializzati negli Stati membri dopo periodi più o meno lunghi, che possono essere anche molto diversi – spiega Francesco Perrone, Presidente AIOM -. Il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione all’EMA e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella Regione italiana che per prima rende disponibile il farmaco si aggira intorno a 14 mesi. Tempi che si sono ridotti rispetto a 5-10 anni fa, quando superavano 2 anni, ma ancora troppo lunghi perché possono penalizzare fortemente i malati oncologici. Per ridurre i tempi di latenza, devono essere aboliti i Prontuari Terapeutici Regionali e va consentita l’immediata disponibilità dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche nelle more delle gare regionali”. Dopo l’inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali, ulteriori ritardi possono essere causati dalle procedure burocratiche per l’inclusione anche nei Prontuari Terapeutici Ospedalieri. “Vogliamo collaborare con l’Agenzia Italiana del Farmaco, per definire nuovi modelli – continua il Presidente Perrone -. Anche il Presidente AIFA, Prof. Nisticò, ha evidenziato l’importanza di garantire procedure celeri, rigorose ed efficienti e fare in modo che i farmaci autorizzati siano effettivamente disponibili per il paziente in tempi rapidi in un’ottica di appropriatezza, sostenibilità ed efficienza. Siamo inoltre preoccupati per i lunghi tempi richiesti per l’approvazione degli studi clinici, che rendono i centri italiani meno competitivi rispetto a quelli degli altri Paesi. Nonostante vi siano regole, come il modello di contratto unico, non vengono applicate in Italia. Restano quindi difficoltà burocratiche nelle sperimentazioni che prolungano i tempi di approvazione e attivazione”.

“Nonostante il Regolamento europeo n.536 del 2014 per la ricerca clinica abbia stabilito tempi di autorizzazione allineati per tutti i Paesi membri (da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106 a partire dalla data di sottomissione), in Italia i processi amministrativi di approvazione risultano ancora più lunghi e difficoltosi rispetto alla media europea e fino al 2025 ci sarà un periodo transitorio di validità della vecchia normativa sugli studi in corso – sottolinea Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM -. Inoltre, anche se vi è stata una significativa riduzione dei comitati etici, con 40 territoriali più 3 a valenza nazionale, è importante ripensare i processi a livello dei centri di sperimentazione, su cui ricadono tutti gli aspetti amministrativi, per restare competitivi. In generale, è cruciale puntare ad un’armonizzazione e semplificazione delle procedure amministrative che in tanti casi comportano mesi di attesa prima di attivare le sperimentazioni cliniche nei centri italiani: questo mette a rischio l’attrattività del nostro Paese per i promotori profit e comunque ritarda l’opportunità della partecipazione agli studi per i pazienti”. Nel 2022, sono state autorizzate da AIFA 663 sperimentazioni e quasi il 40% ha riguardato l’oncologia, una percentuale costante negli ultimi anni. “In Italia – continua Massimo Di Maio – ogni anno migliaia di cittadini colpiti non solo da tumori ma anche da altre patologie, partecipando agli studi clinici, possono beneficiare di trattamenti innovativi con grande anticipo, rispetto alla loro disponibilità e, quindi, di maggiori possibilità di guarigione, ottenendo miglioramenti anche in termini di qualità di vita. I vantaggi degli studi clinici non sono solo per i pazienti e per la scienza, infatti il Servizio Sanitario Nazionale ottiene un beneficio anche economico grazie ai costi evitati per le terapie, sostenuti dalle aziende sponsor dei trial”.

È dimostrato che un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi 3 (2,95) in termini di benefici per il Servizio Sanitario Nazionale. L’effetto leva, determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito di terapie sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial, raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. Basti pensare che il costo medio di una ricerca in oncologia è di 512mila euro, ma quelli evitati sono più del doppio, pari a 1 milione e 200mila euro.

“Il Regolamento europeo ha uniformato tra loro i Paesi europei ma ha allungato di fatto i tempi di approvazione rendendo nel complesso l’Europa meno competitiva rispetto alle altre macroregioni, per cui le aziende farmaceutiche tendono ad investire altrove – afferma Giuseppe Curigliano, Presidente eletto ESMO e membro del Direttivo Nazionale AIOM -. Ad esempio, gli studi di fase I sempre più spesso iniziano negli Stati Uniti, Australia e Asia. È importante risolvere questi problemi, perché i risultati della ricerca scientifica sono evidenti. In Italia, nel 2023, sono stati stimati 395.000 nuovi casi di tumore. In tre anni, l’incremento è stato di 18.400 diagnosi. Grazie anche alle terapie innovative, l’Oncologia del nostro Paese ha fatto registrare importanti passi avanti, con migliaia di vite salvate. Dal 2007 al 2019, in Italia sono state evitate quasi 270mila morti oncologiche. E in Europa, dal 1988 a oggi, i progressi contro i tumori hanno salvato più di 6 milioni di vite. Il cancro è sempre più una malattia curabile e molti pazienti guariscono. Al Congresso ESMO sono presentati studi che cambiano la pratica clinica in neoplasie in cui non vi erano reali progressi da decenni, come quella della cervice uterina localmente avanzata. È riservato grande spazio all’immunoterapia in diversi tumori, dal melanoma a quelli ginecologici, della mammella e della vescica. Senza dimenticare gli anticorpi farmaco coniugati che sono altamente selettivi per le cellule tumorali, riducendo al minimo i danni alle cellule sane circostanti e aumentando l’efficacia del trattamento. È approfondito anche il ruolo dell’intelligenza artificiale nella diagnostica molecolare e nelle terapie, per individuare i meccanismi di resistenza alle cure e offrire nuove opzioni”.

Un ruolo decisivo nella riduzione della mortalità è svolto anche dai programmi di screening. “È necessario investire di più nella prevenzione secondaria – conclude Saverio Cinieri, Presidente Fondazione AIOM -. Nel 2023, in Italia, il 55% delle donne si è sottoposto alla mammografia per la diagnosi precoce del carcinoma mammario. Il 35% degli uomini e delle donne over 50 ha svolto la ricerca del sangue occulto nelle feci per il carcinoma del colon retto. Per la neoplasia alla cervice uterina il 41,5% delle donne ha effettuato il test HPV o il Pap Test. Sono dati in miglioramento rispetto agli anni precedenti, ma non bastano perché restano forti differenze regionali. Servono campagne di informazione per sensibilizzare la popolazione e le nuove tecnologie dovrebbero essere maggiormente sfruttate per coinvolgere i cittadini. L’Unione Europea, infatti, chiede che il 90% della popolazione che soddisfa i requisiti per lo screening del carcinoma della mammella, della cervice uterina e del colon-retto abbia la possibilità di eseguire questi esami entro il 2025”.

11 Settembre 2024

TUMORE SENO, QUALITA’ DI VITA “FATICOSA MA SODDISFACENTE” PER 4 PAZIENTI SU 10

In Italia il 48% delle donne colpite da tumore del seno giudica “faticosa ma soddisfacente” la propria qualità di vita durante e dopo le terapie. Il 9% ricorre al “fai da te” per affrontare e risolvere le problematiche quotidiane indotte dagli effetti collaterali dei trattamenti. Il 63% si rivolge invece direttamente all’oncologo oppure all’infermiere (19%) o al medico di famiglia (8%). Solo il 26% ha avuto un confronto con lo psiconcologo e di queste pazienti nove su dieci giudicano positivamente il supporto ricevuto. I dati provengono da un sondaggio condotto da Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) su oltre 300 donne. La survey fa parte della campagna nazionale “Tumore del Seno e Qualità di vita” dedicata alla malattia in fase avanzata o metastatica. È realizzata con il contributo non condizionato di Gilead e viene presentata in una conferenza stampa oggi a Milano. “La qualità di vita riveste un ruolo importante nella cura e nella gestione di tutte le patologie oncologiche – sottolinea Saverio Cinieri, Presidente Fondazione AIOM -. Molti studi hanno prodotto evidenze scientifiche rilevanti che dimostrano come sia un fattore positivo sia per la prognosi che per la sopravvivenza. Come Fondazione AIOM vogliamo educare pazienti, familiari e caregiver a gestire gli effetti collaterali e migliorare le capacità di adattamento a situazioni spiacevoli. L’obiettivo finale è ridurre l’ansia legata ai trattamenti e aiutare le donne in una fase estremamente delicata della vita”. La campagna prevede webinar e attività sui social media. Saranno poi disponibili su AIOM TV (la web tv della Società Scientifica) video pillole con consigli utili degli esperti (oncologi e psiconcologi). “Le principali terapie possono determinare effetti collaterali – sottolinea Alberto Zambelli, Responsabile della Senologia Oncologica dell’Humanitas University di Milano -. Le pazienti lamentano problemi come perdita dei capelli,  fatigue, nausea-vomito, emicrania, sbalzi d’umore, depressione e disturbi della sfera ginecologica e sessuale. Alla salvaguardia del benessere psicologico, sociale e fisico contribuiscono anche gli stili di vita. Sono fondamentali e vanno incentivati anche durante le cure anche se questo non sempre avviene”. Infatti, sempre secondo la survey di Fondazione AIOM, appena il 32% dei pazienti giudica buona la qualità della propria alimentazione. Il 20% ammette di fumare regolarmente e solo il 16% pratica regolarmente sport. “La cura della paziente non può limitarsi a rimuovere o contenere la malattia – aggiunge Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia – ma deve anche mantenere, se possibile, una buona qualità di vita. Per questo la comunicazione medico-paziente è cruciale: quando è caratterizzata da dialogo, empatia e capacità di ascolto, migliora la fiducia della paziente nelle cure e la sua aderenza al piano terapeutico. Non possiamo poi tralasciare l’importanza di altri due aspetti: il primo è la necessità di poter contare su un nutrizionista all’interno dei centri di senologia multidisciplinari (Breast Unit); il secondo riguarda l’attività fisica e le terapie integrate. Sono tutti preziosi alleati per prevenire e contrastare gli effetti collaterali delle cure, e orientano le pazienti verso stili di vita sani. Attualmente non c’è molta conoscenza di questi aspetti da parte delle pazienti anche perché purtroppo non tutte le Breast Unit le hanno adottate all’interno dei propri percorsi di cura”.  “Anche lo psiconogologo è una figura professionale disponibile solo nel 20% delle divisioni di oncologia medica del nostro Paese – prosegue Gabriella Pravettoni, Direttrice della Divisione di Psiconcologia dello IEO e Professoressa di Psicologia delle decisioni all’Università Statale di Milano -. È invece fondamentale garantire la presenza capillare di un professionista specializzato che può favorire e incentivare una buona qualità di vita. Anche se i tassi di sopravvivenza sono elevati il tumore del seno è una malattia molto complessa da affrontare per una donna. La paziente vive la neoplasia con paura, ansia e preoccupazione anche perché risulta colpita una zona particolare del corpo femminile”. “Il tumore del seno è una malattia che può essere contrastata e spesso anche sconfitta in modo definitivo – prosegue Cinieri -. Vogliamo rassicurare pazienti, famigliari e caregiver e fornire consigli utili. Il 69% delle donne intervistate riferisce di utilizzare internet per cercare soluzioni ai problemi quotidiani legati alla malattia. Abbiamo perciò deciso di utilizzare soprattutto il web, in questa nuova campagna, per veicolare informazioni certificate. Intendiamo anche sensibilizzare i colleghi oncologi sul tema della qualità di vita che non può essere trascurato”.

“Siamo lieti e orgogliosi di lanciare con Fondazione AIOM una campagna di comunicazione sulla qualità di vita delle donne con tumore della mammella metastatico – commenta Frederico da Silva, Amministratore Delegato di Gilead Sciences Italia -. Lo sviluppo di farmaci innovativi per il trattamento delle patologie più gravi è la nostra missione da oltre 35 anni. Le nostre terapie hanno cambiato la storia di molte malattie, facendo la differenza nella vita di milioni di persone al mondo; un impegno che in oncologia è destinato a crescere e rafforzarsi, nel tumore della mammella e in altri tipi di tumori solidi”. E conclude: “Unire all’innovazione terapeutica servizi di assistenza e informazione è da sempre stato il nostro approccio distintivo e siamo orgogliosi di poterlo fare ancora una volta lanciando oggi questa importante campagna educazionale con gli oncologi e le associazioni di pazienti”.

10 Settembre 2024

Kate Middleton ha finito la chemioterapia, gli oncologi: “Ecco i prossimi passi”

“È un ottimo risultato, evidentemente non c’è persistenza del tumore dopo il ciclo di chemioterapia. E questo fa sperare che ci possa essere un lungo periodo di controllo della malattia o una guarigione che ovviamente deve essere confermata nei prossimi controlli ed esami che la principessa Kate dovrà ripetere. Noi ci auguriamo che vada tutto bene”, così Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all’Università degli Studi Sapienza di Roma e presidente della Fondazione per la medicina personalizzata, commenta il messaggio sui social con cui Kate Middleton ha annunciato “con sollievo” di aver concluso dopo nove mesi il trattamento di chemioterapia.

E’ d’accordo Rossana Berardi, oncologa e tesoriere nazionale di Aiom (Associazione italiana oncologia medica), che ha aggiunto: “Non conosciamo i dettagli ma dalle informazioni che abbiamo e dalle dichiarazioni della stessa Kate Middleton sappiamo che sicuramente la sua malattia è in una fase di remissione. Questo significa che l’obiettivo terapeutico è terminato. Tuttavia, per raggiungere il vero obiettivo, ovvero ‘restare libera dal cancro’, la principessa del Galles dovrà ripetere esami clinici, di laboratorio e strumentali ogni 3-6 mesi. Noi oncologi decretiamo la guarigione dopo alcuni anni dal termine delle cure e dalla remissione della malattia, quando i rischi di recidive sono simili a quelli osservati nella popolazione sana”.

Ad attendere la principessa Kate ci sarà un altro percorso “di follow-up, ovvero di monitoraggio – spiega Berardi che è anche professore ordinario di Oncologia Università Politecnica delle Marche e direttrice Clinica Oncologica AOU Marche – Oltre a sottoporsi a ferrei controlli dovrà ovviamente ridurre i fattori di rischio. Vale per la principessa Kate come per tutti i pazienti oncologici in follow-up: fondamentale adottare uno stile di vita corretto, quindi no a fumo e alcol, svolgere regolarmente un’attività fisica e seguire una dieta sana e bilanciata”. ”Ora che l’estate volge al termine, non posso spiegare che sollievo sia aver finalmente completato il mio ciclo di chemioterapia”, ha detto la principessa di Galles in un videomessaggio. ”Gli ultimi nove mesi sono stati incredibilmente duri per noi come famiglia. La vita come la conosci può cambiare in un istante e abbiamo dovuto trovare un modo per navigare in acque tempestose e strade sconosciute’.

 

9 Settembre 2024

Covid: quasi 12.900 casi in 7 giorni in Italia

Dopo l’ondata estiva, diminuiscono i nuovi casi di Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 29 agosto al 4 settembre sono stati 12.877, ovvero oltre il 15% in meno rispetto ai 15.221 della settimana precedente. In calo sono anche i decessi settimanali, che sono stati 75, rispetto ai 135 del 22-28 agosto. Complessivamente l’impatto sugli ospedali “rimane stabile e limitato”. Questo il quadro che emerge dall’ultimo aggiornamento settimanale sui casi di Covid-19, a cura dell’Istituto Superiore di Sanità e del ministero della Salute. Il maggior numero di casi si registra in Lombardia, con 2.395 contagi settimanali rispetto ai 2.562 della settimana prima, seguita da Campania (1.666), Veneto (1.635), Lazio (1.506) e Puglia (1.187). Sempre la Lombardia è la regione in cui è stato registrato il numero maggiore di decessi per Covid rilevati nella settimana in esame, ovvero 31, più che dimezzati rispetto ai 66 della settimana precedente. Sono in diminuzione anche i tamponi: dal 29 agosto al 4 settembre ne sono stati eseguiti 89.228 rispetto ai 94.171 della rilevazione precedente. Il tasso di positività è al 14,4% a fronte del 16,2%.

Dal monitoraggio aggiornato al 4 settembre emerge anche che l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,4% (2.137 ricoverati), stabile rispetto alla settimana precedente. Così come è stabile l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,8% (69 ricoverati). L’indice di trasmissibilità (Rt) è pari a 0,84 e sostanzialmente stabile. L’incidenza di casi diagnosticati dal 29 agosto al 4 settembre è pari a 22 casi per 100.000 abitanti, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente. La più elevata è stata riportata nella regione Veneto (34 casi per 100.000 abitanti) e la più bassa in Sicilia (2,5 casi per 100.000 abitanti). Quanto alle varianti virali in circolazione, JN.1, con tutti i suoi sotto-lignaggi (incluso KP.3.1.1), “si conferma essere predominante, in accordo con quanto osservato in altri Paesi”.

6 Settembre 2024

Tumori, oltre 70% donne fa screening per mammella e cervice

In Italia il 73% delle donne fra i 50 e i 69 anni di età e il 78% di quelle fra i 25 e i 64 anni si sottopone rispettivamente allo screening mammografico e allo screening cervicale (Pap test o HPV test) a scopo preventivo, all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale, mentre la copertura nazionale dello screening colorettale in Italia resta ancora piuttosto bassa: nel biennio 2022-2023 il 46% degli intervistati tra 50 e 69 anni riferisce di aver eseguito uno degli esami per la diagnosi precoce dei tumori colorettali a scopo preventivo. E’ quanto emerge dai dati della sorveglianza Passi del centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnapps) dell’Iss. “Un nostro rapporto recente, basato proprio sulle rilevazioni della sorveglianza Passi, ha dimostrato che in Regioni in cui lo screening raggiunge una buona parte della popolazione target il sistema è anche in grado si prendersi carico dei casi di tumore – sottolinea il presidente dell’Iss Rocco Bellantone -. Sono sicuro che questi dati potranno essere molto utili per elaborare strategie che riescano a mitigare le disparità regionali nell’accesso all’assistenza sanitaria, di gran lunga il problema principale della sanità nel nostro paese”.

La quota di donne che aderisce allo screening cervicale è maggiore fra le più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le cittadine italiane rispetto alle straniere e fra le coniugate o conviventi. La copertura disegna un netto gradiente geografico Nord-Sud che divide l’Italia in due, con coperture mediamente pari all’83% al Nord e Centro Italia (89% nella P.A. di Bolzano) e 69% nelle Regioni del Sud (con coperture minime per la Calabria, 58%). Anche la quota di donne che si sottopone allo screening mammografico è maggiore fra quelle più istruite o con maggiori risorse economiche, fra le donne di cittadinanza italiana rispetto alle straniere e fra le donne coniugate o conviventi. La copertura dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud con una copertura totale dell’83% al Nord, 78% al Centro e solo del 61% nelle Regioni meridionali. Il Friuli Venezia Giulia (89%) è la Regione con la copertura maggiore, la Calabria (45%) quella con le coperture totali più basse. Negli anni il gap geografico si è ridotto e la quota di donne che si sottopone a mammografia a scopo preventivo è aumentata, grazie soprattutto all’aumento dell’offerta/adesione ai programmi organizzati avvenuta ovunque nel Paese. Per quanto riguarda lo screening colorettale vi è una forte variabilità da Nord a Sud a sfavore delle Regioni meridionali dove la quota di persone che si sottopone allo screening non raggiunge il 28%, nel biennio 2022-2023, valore che quasi raddoppia nelle Regioni centrali fino a raggiungere il 67% fra i residenti nel Nord Italia. La gran parte delle persone che ha effettuato lo screening colorettale lo ha fatto nell’ambito di programmi organizzati dalle Asl (38%), mentre quello eseguito su base spontanea (ossia al di fuori dell’offerta delle Asl) è poco frequente (quasi 8%).

5 Settembre 2024

USA: sale a 30 anni l’obbligo documenti per acquistare le sigarette

Nuova ‘stretta’ Usa nella battaglia contro il fumo e i suoi danni alla salute. La Food and Drug Administration (FDA) ha elevato a 30 anni l’eta’ sino alla quale e’ necessario mostrare i documenti per l’acquisto di qualsiasi prodotto contenente tabacco, in primis le sigarette. Sino a pochi giorni c’era l’obbligo di presentare ai tabaccai la patente o altre forme di identificazione sino a 27 anni.

L’agenzia del governo americano ha deciso di rendere ancora più difficile anche l’acquisto di sigarette tramite le macchinette automatiche: non potranno infatti d’ora in avanti venire collocate in luoghi in cui anche giovani sotto i 21 anni abbiano accesso. In pratica cio’ significa che in molti casi dovranno venire spostate all’ interno.

4 Settembre 2024

OMS: “I telefoni cellulari non sono collegati al cancro al cervello”

I telefoni cellulari non sono collegati ai tumori al cervello e alla testa, anche se utilizzati a lungo o nel corso di molti anni. Lo ribadisce una revisione completa dei dati disponibili, commissionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicata sulla rivista Environment International. I cellulari, come tutto ciò che utilizza la tecnologia wireless, inclusi laptop e tv, emettono radiazioni elettromagnetiche a radiofrequenza, o onde radio. Sulla base di alcuni primi studi che mostravano che poteva esserci una possibile associazione con il cancro al cervello derivante dall’uso di questi telefoni per molte ore, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms ha designato i campi a radiofrequenza dei cellulari come un ‘possibile’ rischio di cancro, categoria in cui rientrano centinaia di altri agenti e ben diversa da sostanze ‘certamente’ cancerogene come il fumo. Da allora sono stati pubblicati molti altri studi di coorte più approfonditi che hanno avuto risultati diversi. In ultimo la nuova revisione sistematica guidata dall’Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency (Arpansa), che ha esaminato oltre 5.000 studi, tra cui sono stati identificati i più rigorosi dal punto di vista scientifico. L’analisi finale ha incluso 63 studi osservazionali sugli esseri umani pubblicati tra il 1994 e il 2022, rendendola la revisione più completa finora condotta. “Abbiamo concluso che le prove non mostrano un collegamento tra telefoni cellulari e cancro al cervello o altri tumori alla testa e al collo”, ha affermato l’autore principale, il professore associato Ken Karipidis, vicepresidente della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti.

La revisione non ha trovato infatti alcuna associazione tra l’uso del cellulare e il cancro, nessuna associazione con l’uso prolungato (utilizzo per 10 anni o più) né con la quantità di utilizzo (il tempo trascorso al telefono). Lo dimostra il fatto che “anche se l’uso del cellulare è salito alle stelle, i tassi di tumore al cervello sono rimasti stabili”, ha affermato Karipidis.

3 Settembre 2024

Nanoparticelle d’oro contro i tumori della vescica invisibili

Messe a punto delle nanoparticelle d’oro che permettono di identificare ed eliminare i tumori alla vescica ‘invisibili’ perché più piccoli di un millimetro, riducendo così il rischio di recidiva della malattia. Lo dimostra uno studio condotto sui topi da un team internazionale coordinato dall’Irccs Ospedale San Raffaele nell’ambito del progetto Edit, sostenuto dal programma europeo Horizon 2020 e a cui hanno partecipato anche l’Università VitaSalute San Raffaele, il Cnr di Pisa, l’Università di Bologna, Ascend Technologies del Regno Unito, Fujifilm Visualsonics Inc. di Amsterdam e l’Università della Malesia.

I risultati sono pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze, Pnas. Le nanoparticelle d’oro, una volta infuse nella vescica, sono in grado di riconoscere e legare solo le cellule tumorali. Se vengono colpite da una luce pulsata emettono ultrasuoni, rendendo visibile la presenza del piccolo tumore tramite ecografia. Se invece vengono colpite da luce continua, le nanoparticelle si scaldano riuscendo a bruciare ed eliminare definitivamente i piccoli tumori che finora erano considerati invisibili e ineliminabili. “Siamo riusciti a sviluppare una soluzione unica per i problemi che questa forma di neoplasia comporta”, afferma il coordinatore dello studio Massimo Alfano, responsabile dell’Unità di microambiente extracellulare dell’Istituto di Ricerca Urologica diretta da Andrea Salonia e dell’Unità di Urologia diretta da Francesco Montorsi dell’Irccs Ospedale San Raffaele. “In clinica – continua Alfano – si definisce approccio teragnostico: grazie alle nanoparticelle d’oro siamo in grado di combinare la diagnosi e la terapia in un unico processo. Inoltre, essendo le particelle instillate direttamente in vescica e poiché l’oro è un materiale biocompatibile, non si rischiano effetti collaterali nei tessuti o negli organi circostanti non neoplastici, effetti che una terapia farmacologica o immunoterapica non potrebbe garantire”. “Siamo fiduciosi che la soluzione identificata per la malattia residua del tumore vescicale possa applicarsi anche ad altre forme di neoplasia”, aggiunge Andrea Salonia. “Il marcatore tumorale riconosciuto dalle nostre nanoparticelle d’oro è espresso anche dai tumori dell’ovaio e della cervice uterina”.

2 Settembre 2024

Studio: svelato come il tumore sostiene i suoi processi vitali

Svelato come il tumore sostiene i suoi processi vitali. A giocare un ruolo centrale è una proteina, p62, attore cruciale di un meccanismo molecolare in grado di sostenere i processi vitali della cellula tumorale, incluse le metastasi. Ad identificare la nuova proteina un gruppo internazionale di ricercatori – coordinato da Stefano Santaguida, group leader presso il Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia e docente di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano – e lo studio ha conquistato la copertina di Science. La ricerca è sostenuta da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e Fondazione Cariplo.

Tutto parte dall’instabilità cromosomica, uno dei tratti che caratterizzano la maggior parte delle cellule tumorali e che consiste nell’alta frequenza di errori nella segregazione dei cromosomi nelle cellule figlie durante la divisione cellulare. Questa instabilità crea una situazione di caos cellulare che contribuisce ai programmi ‘anarchici’ delle cellule tumorali, tra cui replicarsi all’infinito e sopravvivere agli attacchi esterni. Un’altra conseguenza dell’instabilità cromosomica è la formazione di micronuclei, strutture anomale che si collocano al di fuori del nucleo primario della cellula e che sono in grado di indurre i cromosomi sregolati a catalizzare il caos cellulare. L’involucro di queste microstrutture è tuttavia molto fragile e spesso difettoso, per cui il Dna che contengono non è sufficientemente protetto; anzi, è di frequente esposto al citoplasma e subisce danni persistenti, che creano un ambiente favorevole allo sviluppo del tumore. P62 è una proteina multitasking con molteplici funzioni ma non era finora mai stata collegata all’instabilità cromosomica. In particolare, “attraverso complessi meccanismi cellulari identificati, abbiamo dimostrato che p62 inibisce l’azione dei ‘riparatori’ dell’involucro nucleare del micronucleo. Quest’ultimo, rimasto senza difese, collassa, lasciando i cromosomi contenuti in balia del caos. Così l’instabilità cromosomica aumenta e le cellule tumorali ne ricevono più di un vantaggio, diventando più forti, crescendo, difendendosi dai farmaci e migrando all’interno dell’organismo”, spiega Santaguida. La scoperta ha un “chiaro riscontro nella pratica clinica perché, dalle nostre analisi, risulta che tumori caratterizzati da instabilità cromosomica e con alti livelli di p62 hanno una prognosi peggiore. La proteina p62 potrebbe quindi da oggi essere considerata un marcatore prognostico e un importante bersaglio terapeutico”, conclude il ricercatore.

Lo studio è stato condotto in collaborazione con eccellenti centri internazionali, tra cui, negli Stati Uniti, il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York City, la Harvard Medical School di Boston, la University of Texas Southwestern di Dallas, il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle; in Israele l’Università di Tel Aviv e in Italia l’Università di Palermo, l’Ospedale San Raffaele di Milano e l’Ifom di Milano.